lunedì 29 dicembre 2008

Ritorno all'Esquilino

Gran bel Natale bolognese. Parenti, amici ritrovati, pranzo polacco il 25, tortellini il 26. E gran festa alla vigilia, piena di persone interessanti, con falò nel cortile, recite di poesie alla luce del fuoco, redistribuzione dei doni portati da ciascuno. Poi passeggiate notturne nelle viuzze del centro storico, sotto i portici, davanti alle osterie, con la nebbiolina, le luci, gli odori di sempre.
Un po' di nostalgia al mio ritorno all'Esquilino... tutta questa fatica per scappare da Bologna, e perchè poi?
Ma poi alla ricerca di una pizzeria aperta sono finita davanti al Palazzo delle Esposizioni, in via Nazionale, così vicino a casa. Aperto fino alle 22.30!
E dentro, oltrepassando statue etrusche, sono giunta ad una mostra di Bill Viola, emozionante ed evocativa (http://www.palazzoesposizioni.it/billviola/).
Il tutto nella bella la cornice del Palazzo delle Esposizioni, con un'ottima ristrutturazione, servizi all'americana come la libreria, il forum, il laboratorio d'arte, con il caffe e il ristorante da Gambero rosso e anche una sala cinema con festival e programmazione d'essay.
La pizza me la sono dimenticata e ho passato tutta la serata lì dentro.
Roma è ancora tutta da scoprire.

lunedì 15 dicembre 2008

La struttura della storia secondo Vogler

Appunti da un corso di Sceneggiatura

La struttura che utilizza Vogler per schematizzare il meccanismo di una sceneggiatura è di tipo circolare in quanto sostiene che il viaggio dell’eroe, il protagonista della storia in questione, è un’esperienza ciclica. l’eroe parte da un punto, compie un viaggio alla fine del quale torna allo stesso punto di partenza, ma cambiato. Anche se poi naturalmente ci sono film in cui il protagonista non ha un cambiamento interiore, o perché sono film puramente incentrati sull’azione, senza un vero sviluppo dei personaggi, o perché non è il protagonista a cambiare ma il suo esempio provoca il cambiamento degli altri personaggi e del mondo intorno a lui (V. ad esempio Bravehearth, Il Gladiatore).

La storia si articola in 12 punti:

  1. Il Mondo Ordinario (o premessa) nel quale s’introducono gli elementi principali della storia (desiderio, problema, bisogno, contesto).
  2. Il richiamo all’avventura o evento scatenante. A volte può prefigurare anche l’evento culminante.
  3. Il rifiuto dell’avventura da parte del protagonista perché l’avventura cambierà il protagonista e la reazione normale al cambiamento è la resistenza. Il rifiuto, poi, fa capire che la posta in gioco è alta, il viaggio è rischioso e pericoloso.
  4. Il mentore: il rifiuto va vinto e per far ciò spesso si usa la figura del mentore. colui che consiglia, anche se talvolta tale funzione può essere svolta da una situazione.
  5. L'attraversamento della soglia, il punto di svolta a conclusione del I Atto che dal Mondo Ordinario consente l’ingresso nel Mondo Straordinario. A cavallo di tale punto interviene una figura, il guardiano della soglia, che impedisce il passaggio al Mondo Straordinario al fine di generare un conflitto; può anche non essere una persona, ma una situazione, un ammonimento o un conflitto interno.
  6. Prove, Alleati, Nemici. Entrando nel II Atto si entra in un mondo sconosciuto per il protagonista L’alleato ci spiega cosa pensa il protagonista. Questo momento può essere giusto per formare un team.
  7. L’avvicinamento alla caverna, ovvero l’avvio verso la parte centrale: caverna perché nelle storie mitiche l’eroe entra nella caverna per ammazzare il drago. E’ quello che Truby chiama piano. L’eroe pensa a come affrontare il compito al fine di raggiungere il suo obiettivo. Se non c’è un piano è il momento per altri guai al nostro protagonista. Ogni ostacolo deve essere maggiore di quello precedente. Oppure se fino a questo punto la storia non ha avuto tregua è il momento di tirare il fiato (ad es. una scena attorno al fuoco).
  8. L’incontro con la morte, la prova centrale. Tale appuntamento viene anticipato di parecchio rispetto agli schemi di Truby o di Mckee: se il protagonista incontra la morte già a metà film che succederà poi? Il punto centrale è il momento della caverna, un momento che richiede un evento importante senza il quale la seconda metà del II atto si affloscerebbe. Secondo Truby l’incontro con la morte ha una funzione in virtù del cambiamento del protagonista, per Vogler è una foto del personaggio a questo punto della storia; Vogler parla di insuccesso, Truby parla, invece, di sconfitta apparente. La prova centrale dovrebbe essere anche una vittoria tematica, del tema o del controtema. Le svolte sono i momenti in cui il tema è il controtema si affrontano. Il controtema serve a dare spessore al conflitto interiore del protagonista. Si pensi al tema in termini di valori assoluti: libertà – schiavitù etc… Ad es. ne L’attimo fuggente è chiaro il conflitto fra libertà e conformismo. Secondo Vogler è l’incontro con la morte del protagonista, ma può anche essere la morte di un’altra persona. Questa prova centrale può anche essere ritardata al terzo atto.
  9. Ricompensa, dove il protagonista ottiene i frutti della raccolta: questo è un buon momento per un riepilogo o in cui gli altri personaggi imparano qualcosa sul protagonista che ha appena superato la prova centrale.
  10. Fuga dal Mondo Straordinario, le cui forze, effetti però inseguono il protagonista
  11. Resurrezione: il vero incontro con la morte. Questo è il momento di conflitto più intenso in cui l’eroe cambia, opera la scelta definitiva in forza del cambiamento appena avvenuto o in essere. In tal modo si risolve l’interrogativo drammatico e quello tematico.
  12. Ritorno con l’elisir: il protagonista torna a casa, nel mondo ordinario, cambiato.

venerdì 12 dicembre 2008

Progettare il terrazzo: 17 idee dal Web

Con l’arrivo del freddo mi sono messa a pensare alla primavera e a come preparare il terrazzo per la bella stagione. La scorsa estate ho costruito un graticcio e comprato qualche pianta, ma il terrazzo è ancora desolato, senza un disegno, con i vicini che mi guardano dentro, i muri da dipingere, i detriti della ristrutturazione ammassati in un angolo….

Ma da dove cominciare? Ho cercato su Internet per ispirazione e ho individuato qualche regola base. Ecco quelle che mi sono piaciute di più:

  1. Dietro a ogni scelta progettuale c’è un ragionamento. La casualità porta solamente ad un “effetto accozzaglia”!

  2. Per iniziare su una pianta in scala del terrazzo disegnate delle bolle che indichino le funzioni a cui assolveranno le varie aree del terrazzo (pranzo, barbecue, relax, orto ripostiglio). Un po' come dicono di fare su questo sito.

  3. Frazionate lo spazio in diverse “stanze”: il giardino d’ombra con piante tropicali, edera, ortensie, rododendri, felci, hoste e aspidistrie; il giardino delle erbe aromatiche e delle piante da orto e da frutto; l’angolo segreto con una panchina o un tavolino per due; l’area pranzo o salotto; l’area di lavoro… insomma fate del vostro terrazzo un mini giardino di Sissinghurst!
    (Ottima ispirazione anche l’articolo di Maria Acquaria sul sito Compagnia del giardinaggio)


  4. Decidete lo stile del vostro terrazzo, magari abbinato allo stile della casa. Ad esempio si possono usare le piante che si usavano nel periodo di costruzione della casa o nello stile dell'arredamento (classico, umbertino, giapponese, ecc.). Per uno stile informale e country si può giocare sulle asimmetrie, usare piante non sagomate, complementi d’arredo rustici, mescolare fiori, cespugli, frutti e erbe da orto.

  5. Scegliete le piante più adatte alle diverse esposizioni, la loro altezza, lo spazio che occupano. Usate più volte la stesse piante in luoghi diversi, diventeranno un motivo ricorrente per dare un senso di unità.

  6. Individuate le costruzioni fisse (recinzioni, gazebo, luci, ecc.) già esistenti o che volete inserire. Senza dimenticare un luogo dove riporre gli attrezzi e nascondere le aree di servizio.

  7. Proteggitevi dallo sguardo dei vicini con graticci, rampicanti, piante di bambu.

  8. Create un angolo segreto! Non dimenticate infatti che naturalmente amiamo il mistero e la sorpresa…

  9. Create delle bordure, raggruppando tutti insieme i vasi in cui saranno state sistemate delle piante scelte secondo un certo tema. In posizione più arretrata andranno posti i soggetti più alti, in primissimo piano delle piante ricadenti che serviranno a coprire il bordo visibile dei vasi. Anche qui Maria Acquaria dà degli ottimi consigli!

  10. Tenete conto dell’ambiente circostante: riproponete all’interno del terrazzo gli elementi esterni in modo da creare una continuità che ingrandisca lo spazio, inquadrate quello che vi piace. Valorizzate ciò che all’esterno ha un valore di costruzione del paesaggio (una bella pianta che riveste una parete, i lampioni, ecc. ) e ad essi gettate una fune, riproponendoli.

  11. Mascherare le brutture circostanti rischia di attirare l’occhio proprio sopra ciò che non si vorrebbe vedere. Meglio creare dei punti di attrazione all’interno del terrazzo con piante, sedili, ecc. o volgere la bruttura a proprio favore “facendole il verso”.

  12. Per attutire i rumori e l’inquinamento di una strada trafficata è da evitare una siepe regolare, meglio una massa arbustiva in forma libera, a foglia larga, senza vuoti, e delle piante aromatiche. Anche un punto d’acqua può distogliere dal frastuono.

  13. Pensate ai muri come a uno sfondo decorativo, giocando con colori, materiali, rampicanti. Così si attenua la sensazione di costrizione che possono dare i muri alti.

  14. Per rilassarvi nella vostra oasi cittadina giocate sui profumi e sui rumori. Fiori, erbe aromatiche, piante che si muovono al vento, una fontana…

  15. Usate i colori, La mescolanza di colori caldi e freddi dà un senso di movimento e profondità. I colori caldi come il giallo, l’arancio e il rosso sembrano vicini. I colori freddi blu e il viola sembrano infatti lontani. E non avete occhio per mescolare i colori tenete presente che i colori analoghi armonizzano tra loro senza sforzo. Oppure scegliete un tema colore in tutto il terrazzo o in alcune aree. Come il giardino bianco alla Vita Sackwille West!

  16. Le foglie piccole accentuano la distanza, quelle grandi danno un effetto di vicinanza. Per aumentare la profondità ponile in fondo. Lo stesso vale per i fiori grandi e piccoli.

  17. Infine un ultimo tocco di stile con gli accessori: un vaso, un’amaca, delle candele, una lampada marocchina…

lunedì 8 dicembre 2008

Dopo pranzo...

.... in un pigro 8 dicembre.

sabato 6 dicembre 2008

Bucato all'Esquilino

Un angolo di Pakistan davanti alla mia finestra...



martedì 2 dicembre 2008

Nuovo Fascismo: Berlusconi ha letto Pasolini?

L’edonismo del potere della società consumistica ha disabituato di colpo, in neanche un decennio, gli italiani alla rassegnazione, all’idea del sacrificio, ecc.: gli italiani non son più disposti ad abbandonare quel tanto di comodità e di benessere (sia pur miserabile) che hanno in qualche modo raggiunto. Ciò che potrebbe promettere un nuovo Fascismo, dovrebbe essere appunto, dunque, "comodità e benessere": che è una contraddizione in termini.

In realtà tuttavia c’è stato, e c’è, in Italia un nuovo Fascismo che fonda il suo potere proprio sulla promessa della "comodità e del benessere": ed è appunto quello che Marco Pannella chiama il nuovo Regime, un po’ immaginosamente, ma giustamente.
Benché tale Regime abbia fondato il suo potere su principi sostanzialmente opposti a quelli del Fascismo classico (rinunciando in questi ultimi anni addirittura al contributo della Chiesa) esso può ancora lecitamente essere chiamato fascista.
Perché? Prima di tutto perché l’organizzazione dello Stato, ossia il sotto-Stato è rimasto praticamente lo stesso: anzi, attraverso, per esempio, l’intervento della Mafia, la gravità delle forme di sottogoverno è molto aumentata.

Questo faredello arcaico –che il nuovo Regime, così moderno, così spregiudicato, così cinico, così agile – si trascina dietro, impotente a liberarsene, rende perfettamente logica la presenza di uomini di potere in cui il vecchio (legalitarismo, clericalismo e intrallazzo) può convivere pacificamente col nuovo (produzione del superfluo, edonismo, sviluppo cinico e indiscriminato): perché tale convivenza è un dato oggettivo della nazione italiana.

La continuità tra il ventennio fascista e il trentennio democristiano trova il suo fondamento sul caos morale e economico, sul qualunquismo come immaturità politica e sull’emarginazione dell’Italia dai luoghi per dove passa la storia.

Da "28 marzo 1974. Previsione della vittoria al referendum", in Scritti corsari

Altri post su Pasolini:
Ancora sul conformismo: Pasolini

lunedì 1 dicembre 2008

Ancora sul conformismo: Pasolini

Oggi nelle città dell’Occidente, camminando per le strade si è colpiti dall’uniformità della folla: non si nota più alcuna differenza sostanziale, tra i passanti (soprattutto giovani)nel modo di vestire, nel modo di camminare, nel modo di esser seri, nel modo di sorridere, nel modo di gestire, insomma nel modo di comportarsi. E si può dunque dire che il sistema di segni del linguaggio fisico-mimico non ha più varianti, che esso è perfettamente identico in tutti. (…)

La proposizione prima di tale linguaggio fisico-mimico è la seguente: “il Potere ha deciso che noi siamo tutti uguali.”

L’ansia del consumo è un’ansia di obbedienza a un ordine non pronunciato. Ognuno in Italia sente l’ansia, degradante, di essere uguale agli altri nel consumare, nell’essere felice, nell’essere libero: perché questo è l’ordine che egli ha inconsciamente ricevuto, e a cui “deve” obbedire, a patto di sentirsi diverso. Mai la diversità è stata una colpa così spaventosa come in questo periodo di tolleranza.

Da “11 luglio 1974. Ampliamento del bozzetto sulla rivoluzione antropologica in Italia”, in Scritti corsari

Altri post su Pasolini:
Nuovo Fascismo. Berlusconi ha letto Pasolini?

venerdì 28 novembre 2008

Pippi Calzelunghe: W l'anticonformismo!


Sto finendo di rileggere Pippi Calzelunghe! Quando una decina di giorni fa su uno scaffale da Giunti ho infatti visto il libro da me più amato da bambina, con le stesse immagini della mia infanzia, non ho saputo resistere e l’ho comprato subito.

All’inizio avevo paura di rischiare una delusione. E certo, un minor coinvolgimento inizialmente c’è stato. Forse perché Pippi è sempre uguale a se stessa e così Tommy e Annika. Per dirla da sceneggiatrice, i personaggi non cambiano e dunque il libro, riletto da adulti, fatica a coinvolgere emotivamente. Forse perchè è ad episodi, senza un unico obiettivo che porta avanti verso la fine della storia. Ma forse soprattutto perchè da “grande” non riesco più a sentire come una volta il fascino di villa Villacolle, del nascondiglio nell’albero cavo, dell’isola in mezzo al lago, della soffitta dei fantasmi. Ho purtroppo perso lo stupore che provavo da bambina.
Ma poi sono stata presa di nuovo! Che bell’esempio questa bambina forte e indipendente, ottimista e generosa. Non solo per le bambine che la lessero quando uscì e che diventarono poi le ragazze contestatrici e femministe degli anni ‘60 e ‘70, ma anche per le bambine, per le donne e soprattutto per i tanti pecoroni di oggi che temono la diversità loro e dei loro figli.
Pippi infatti è gioiosamente anticonvenzionale, senza nessuna paura di essere diversa dagli altri. Il suo anticonformismo è pieno di trovate insolite e creative.
E così mi trovo a sorridere, mentre leggo sull’autobus, delle trecce rosse di Pippi, delle sue calze una diversa dall’altra, delle scarpe antiquate e lunghissime per farci crescere comodi i piedi. Di lei che dorme al contrario con i piedi sul cuscino, che cammina all’indietro con la scimmietta sulle spalle o mentre pulisce i pavimenti pattinando su delle spazzole…
Poi alzo lo sguardo e nell’autobus mi ritrovo nella nostra realtà dei tutti uguali: stesso taglio di capelli, stesse borse, stesse scarpe, stessi colori… anche i miei occhiali sono della stessa marca di quelli della mia vicina. Tutti con indosso, ciò che va, che “si porta”. Anche chi fa l’alternativo non sfugge al rispetto dei codici del suo gruppo. E allora tutti in case uguali, tutti con gli stessi divertimenti, con i figli che sono mandati a catechismo perché ci vanno gli amici, a cui si danno i nomi di moda perché non si sentano troppo diversi, a cui si comprano…
Basta! Voglio cambiare… voglio diventare come Pippi!

venerdì 21 novembre 2008

La porta del gatto... un terrazzo all'Esquilino

Nel convegno dell’altro giorno si parlava dei LoveMarks di quelle cose che attraggono oltre ogni ragione, offrendo risposte non solo sul piano razionale, ma anche sul piano delle emozioni.
Anche quando compriamo una casa, diceva il relatore, facciamo tutta una lista di parametri razionali a cui la casa deve rispondere e poi non si sa perché ne scegliamo una che a tutti questi parametri non risponde, perché ha qualcosa che ci suscita emozione, risponde a qualcosa di interiore…

E così è stato per me! In una giornata grigia di poco più di un anno fa, dopo che avevo visto decine di case improbabili a prezzi esorbitanti, improvvisamente, in una casa sgangherata all’Esquilino, una porta da gatto che dava su un terrazzo coperto da un tetto di lamiera ha attratto la mia attenzione.

E di colpo mi sono vista lì!

Mi sono immaginata il gatto che passava dalla porta, il terrazzo fiorito, il tetto di lamiera trasformato in porticato e io lì in mezzo alle piante, a coltivare erbe aromatiche, rilassata nella mia oasi campagnola in mezzo alla città.

E anche le strade degradate vicino alla stazione, che avevo guardato con sospetto prima di salire, mi sono apparse in una luce nuova. Strade, è vero, puzzolenti, ma anche piene di profumi di spezie, la Chinatown romana, non c’è dubbio, ma anche un luogo dove viaggiare stando fermi, dove mi basta girare l’angolo e dalla Cina sono passata al Pakistan.

La casa pur con i suoi soffitti in legno perlinato stile baita e i pavimenti ricoperti da mattonelle stile bagno, mi è sembrata piena di possibilità. Avrei tolto questo, messo quello e sarebbe tornata una bella casa vecchiotta, senza troppe pretese ma calda, che avrebbe rispecchiato me e i miei interessi. Così diversa dalla mia algida casa milanese, nel centro storico degli antiquari, protetta dalle Belle Arti, con per vicini commercialisti, avvocati e gli aristocratici che lì abitavano da 150 anni. Le famiglie storiche milanesi, i cui cognomi si vedono nei nomi delle strade. Tutti, tranne il simpatico e famoso presentatore televisivo, molto sulle loro, a partire dal portiere, il Sig. Anostini. E invece qui vecchietti, studenti, giovani coppie e i vari Hang, Wang, Martinez. E Agostino, il portiere.

Prima di uscire dalla visita con l’agenzia immobiliare, ho visto una frase buddista scarabocchiata sul muro. Non ricordo le parole esatte, l’hanno cancellata i muratori, ma era sul continuo e necessario cambiamento delle cose… anch’io avevo bisogno di cambiare…

Ho comprato la casa. E’ iniziata una nuova vita.

giovedì 20 novembre 2008

Come comunicare nell’era del “Liquid Thinking”?

Appunti da un seminario

Come cambia la comunicazione nella società di oggi? Quali opportunità offrono le nuove tecnologie?

A queste domande ha cercato di rispondere il seminario sulla Comunicazione per la Pubblica Amministrazione organizzato dalla Saatchi & Saatchi a cui sono stata ieri.

Con l’aumento dell’alfabetizzazione tecnologia e culturale, si è detto ad apertura del convegno, i cittadini e i consumatori sono diventati competenti, attori delle proprie decisioni e vogliono contare. La diffusione delle nuove tecnologie non ha accorciato solamente le distanze, ma ha trasformato il cittadino in un informatore interconnesso con gli altri. E’ diventato un opinion leader consapevole della propria forza e in grado di aggregare comunità. Come infatti scrive Chris Anderson: “viviamo in un’epoca in cui ogni consumatore ha un megafono. Molti lo stanno usando e le aziende farebbero meglio ad ascoltare.”

Siamo in un processo magmatico in cui c’è più possibilità di incidere come gruppo non organizzato che come partito. Citando Chris Hughes, il co-fondatore di Facebook: “il vero cambiamento nasce dal basso e non c’è strumento più potente di Internet per organizzare una campagna elettorale”.E’ il caso di Obama, naturalmente, ma anche della Palin scelta anche in base ai sondaggi sui blog.

Le possibilità di scelta si sono moltiplicate. I cittadini possono comparare su Internet quello che vogliono acquistare e nei riguardi della Pubblica Amministrazione si aspettano, oltre ad una informazione trasparente e completa, la possibilità di interagire e un servizio efficiente e personalizzato.

In questo contesto la comunicazione deve diventare “liquida”. Come l’acqua che prende forma dal suo recipiente, deve essere fluida e flessibile e parlare al cittadino con il suo stesso linguaggio, non più con un tono patronising, dall’alto verso il basso.
Dalla comunicazione bisogna passare al dialogo e alla relazione, dalla comunicazione verticale e monodirezionale del passato a quella orizzontale e bidirezionale dei nostri giorni. Si abbandona la vecchia visione industriale fordista che vedeva i consumatori standardizzati in target, per una nuova visione in cui i consumatori sono visti come persone. Il problema non è più come raggiungere il target, ma come farsi trovare. La vecchia economia dell’attenzione in cui contavano i numeri e i fatti lascia il posto ad un’economia dell’attrazione in cui contano le emozioni e le relazioni personali.

Nella società “liquida” la comunicazione si frammenta su diversi canali, con una varietà di attività comunicative che ruotano intorno all’idea centrale del messaggio. Anche i mezzi classici si spostano verso un universo frammentato in cui migliorano la propria capacità di interazione. Secondo una logica che dice: “do what you do best and link to the rest!”
Da una comunicazione lineare si passa al networking, non si cerca più di influenzare direttamente i comportamenti ma di stabilire delle connessioni. Con il Viral marketing il passaparola è sempre più importante, il miglior promotore del nostro messaggio diventa il consumatore finale.

Non si parla più di audience, ma di community. Con il Web 2.0 i contenuti sono generati anche dagli utenti, come nei blog, come nel sito istituzionale di Obama dove sono scaricabili video realizzati dai sostenitori. Con le risorse open source la progettazione viene condivisa. E anche nella PA non si può più calare l’opera pubblica all’interno della comunità senza condividerla con la comunità stessa.

Ma in questo universo così frammentato, dagli infiniti messaggi, come superare il muro dell’indifferenza?

Saatchi & Saatchi porta l’esempio dei LoveMarks, di servizi, prodotti, ma anche persone che ispirano fedeltà oltre ogni ragione, che istaurano relazioni emotive profonde, offrendo risposte non solo sul piano razionale, ma anche sul piano delle emozioni, sempre più importanti nell’economia dell’attrazione.
Bisogna dunque stabilire relazioni personali con il consumatore o il cittadino, guardarlo negli occhi dargli del tu, personalizzare il messaggio passando dalle grandi promessi ai gesti intimi. Per entrare in contatto si possono proporre i messaggi nei luoghi in cui servono, ad es. agli incroci per i messaggi sulla sicurezza stradale, nei bar per quelli sul controllo dell’alcool. E togliere sempre invece di aggiungere, parlando con semplicità. Se abbiamo infatti qualcosa di importante da dire, e la Pubblica Amministrazione certamente ce l’ha, che bisogno c’è di nasconderla fra mille altre? Essere semplici significa comunicare l’essenza.

La PA deve passare dal servizio all’attenzione verso il cittadino, stabilire una relazione che lo faccia sentire importante. Come ha fatto Obama in tutta la sua campagna elettorale, bisogna parlare alle persone direttamente, guardarle negli occhi. Bisogna riconoscere l’interlocutore, farlo sentire al centro dei propri pensieri. Proprio come si fa con una persona con cui ci interessa stabilire una relazione personale e intima.

E se c’è un luogo deputato a stabilire una relazione personale questa è proprio la rete. Come ha dimostrato la campagna on-line di Obama il Web è si un luogo dove informare, ma anche un potentissimo strumento per comunicare in maniera partecipativa e interattiva e quindi ottenere il massimo coinvolgimento. Un luogo dove sensibilizzare, stimolare, sorprendere, intrattenere, giocare e, non ultimo, far sognare. Grazie alla trasmissione di valori, quali ad es. la speranza e il cambiamento, che coinvolgono di più delle informazioni e delle notizie perché suscitano emozioni.
La comunicazione “liquida” passa quindi dalla dimensione funzionale a quella simbolica, la realtà viene portata verso la sua dimensione aspirazionale. Uno dei modi migliori per farlo è il racconto che, al contrario dell’informazione e delle notizie che pongono l’accento sulla realtà così come è percepita, pone l’accento sull’aspetto valoriale e aspirazionale. Una volta definiti i valori questi vengono dunque espressi tramite il racconto in modo che il cittadino li possa vivere in modo coinvolgente ed emozionante.

Il prodotto o il servizio che vogliamo comunicare diventano allora un’esperienza. Diventano indimenticabili.

“Le persone infatti dimenticano quello che hai detto e quello che hai fatto ma non come le hai fatte sentire”.

lunedì 17 novembre 2008

Seminario di Dara Marks: “the change we need”

(non solo Obama... anche in sceneggiatura)

Dal seminario di sceneggiatura a cui sono stata giovedì scorso:

La crescita e il cambiamento fanno parte del ciclo della vita.
  • Perché il cambiamento è essenziale per crescere, è un requisito obbligatorio della vita
  • Se qualcosa non cresce e si sviluppa è destinato al decadimento e alla morte
  • Non esistono condizioni di stasi in natura. Niente è mai in una posizione permanente, o cresce o diminuisce

Anche in sceneggiatura per avere una storia interessante il protagonista deve essere in una fase della sua vita in cui per sopravvivere deve cambiare. Il conflitto nasce dalla resistenza al cambiamento del protagonista, dalla sua lotta interiore per mantenere i vecchi meccanismi di sopravvivenza.
La maggior parte di noi infatti resiste al cambiamento e si afferra ai vecchi meccanismi di sopravvivenza perché sono familiari e sembrano più sicuri. Perché è più facile coabitare con ciò che conosciamo che affrontare il nuovo, anche se ciò che conosciamo ci fa sentire soli, depressi, impauriti, non amati. Il risultato è che molti di noi combattono per mantenere relazioni distruttive, lavori non soddisfacenti, dipendenze dannose, comportamenti immaturi anche se in essi non c’è più nessun valore e vitalità.

In sceneggiatura la resistenza del protagonista al cambiamento viene definito da Dara Marks come il fatal flaw, ovvero la lotta all'interno del personaggio per mantenere vecchi schemi di sopravvivenza che ormai hanno perso la loro utilità.

Grande Dara! Utile non solo per la sceneggiatura.

Per saperne di più sul Fatal Flow secondo Dara Marks: http://www.storylink.com/article/192

venerdì 14 novembre 2008

Sono felice di vivere a Roma! In un attico all'Esquilino!