venerdì 28 novembre 2008

Pippi Calzelunghe: W l'anticonformismo!


Sto finendo di rileggere Pippi Calzelunghe! Quando una decina di giorni fa su uno scaffale da Giunti ho infatti visto il libro da me più amato da bambina, con le stesse immagini della mia infanzia, non ho saputo resistere e l’ho comprato subito.

All’inizio avevo paura di rischiare una delusione. E certo, un minor coinvolgimento inizialmente c’è stato. Forse perché Pippi è sempre uguale a se stessa e così Tommy e Annika. Per dirla da sceneggiatrice, i personaggi non cambiano e dunque il libro, riletto da adulti, fatica a coinvolgere emotivamente. Forse perchè è ad episodi, senza un unico obiettivo che porta avanti verso la fine della storia. Ma forse soprattutto perchè da “grande” non riesco più a sentire come una volta il fascino di villa Villacolle, del nascondiglio nell’albero cavo, dell’isola in mezzo al lago, della soffitta dei fantasmi. Ho purtroppo perso lo stupore che provavo da bambina.
Ma poi sono stata presa di nuovo! Che bell’esempio questa bambina forte e indipendente, ottimista e generosa. Non solo per le bambine che la lessero quando uscì e che diventarono poi le ragazze contestatrici e femministe degli anni ‘60 e ‘70, ma anche per le bambine, per le donne e soprattutto per i tanti pecoroni di oggi che temono la diversità loro e dei loro figli.
Pippi infatti è gioiosamente anticonvenzionale, senza nessuna paura di essere diversa dagli altri. Il suo anticonformismo è pieno di trovate insolite e creative.
E così mi trovo a sorridere, mentre leggo sull’autobus, delle trecce rosse di Pippi, delle sue calze una diversa dall’altra, delle scarpe antiquate e lunghissime per farci crescere comodi i piedi. Di lei che dorme al contrario con i piedi sul cuscino, che cammina all’indietro con la scimmietta sulle spalle o mentre pulisce i pavimenti pattinando su delle spazzole…
Poi alzo lo sguardo e nell’autobus mi ritrovo nella nostra realtà dei tutti uguali: stesso taglio di capelli, stesse borse, stesse scarpe, stessi colori… anche i miei occhiali sono della stessa marca di quelli della mia vicina. Tutti con indosso, ciò che va, che “si porta”. Anche chi fa l’alternativo non sfugge al rispetto dei codici del suo gruppo. E allora tutti in case uguali, tutti con gli stessi divertimenti, con i figli che sono mandati a catechismo perché ci vanno gli amici, a cui si danno i nomi di moda perché non si sentano troppo diversi, a cui si comprano…
Basta! Voglio cambiare… voglio diventare come Pippi!

venerdì 21 novembre 2008

La porta del gatto... un terrazzo all'Esquilino

Nel convegno dell’altro giorno si parlava dei LoveMarks di quelle cose che attraggono oltre ogni ragione, offrendo risposte non solo sul piano razionale, ma anche sul piano delle emozioni.
Anche quando compriamo una casa, diceva il relatore, facciamo tutta una lista di parametri razionali a cui la casa deve rispondere e poi non si sa perché ne scegliamo una che a tutti questi parametri non risponde, perché ha qualcosa che ci suscita emozione, risponde a qualcosa di interiore…

E così è stato per me! In una giornata grigia di poco più di un anno fa, dopo che avevo visto decine di case improbabili a prezzi esorbitanti, improvvisamente, in una casa sgangherata all’Esquilino, una porta da gatto che dava su un terrazzo coperto da un tetto di lamiera ha attratto la mia attenzione.

E di colpo mi sono vista lì!

Mi sono immaginata il gatto che passava dalla porta, il terrazzo fiorito, il tetto di lamiera trasformato in porticato e io lì in mezzo alle piante, a coltivare erbe aromatiche, rilassata nella mia oasi campagnola in mezzo alla città.

E anche le strade degradate vicino alla stazione, che avevo guardato con sospetto prima di salire, mi sono apparse in una luce nuova. Strade, è vero, puzzolenti, ma anche piene di profumi di spezie, la Chinatown romana, non c’è dubbio, ma anche un luogo dove viaggiare stando fermi, dove mi basta girare l’angolo e dalla Cina sono passata al Pakistan.

La casa pur con i suoi soffitti in legno perlinato stile baita e i pavimenti ricoperti da mattonelle stile bagno, mi è sembrata piena di possibilità. Avrei tolto questo, messo quello e sarebbe tornata una bella casa vecchiotta, senza troppe pretese ma calda, che avrebbe rispecchiato me e i miei interessi. Così diversa dalla mia algida casa milanese, nel centro storico degli antiquari, protetta dalle Belle Arti, con per vicini commercialisti, avvocati e gli aristocratici che lì abitavano da 150 anni. Le famiglie storiche milanesi, i cui cognomi si vedono nei nomi delle strade. Tutti, tranne il simpatico e famoso presentatore televisivo, molto sulle loro, a partire dal portiere, il Sig. Anostini. E invece qui vecchietti, studenti, giovani coppie e i vari Hang, Wang, Martinez. E Agostino, il portiere.

Prima di uscire dalla visita con l’agenzia immobiliare, ho visto una frase buddista scarabocchiata sul muro. Non ricordo le parole esatte, l’hanno cancellata i muratori, ma era sul continuo e necessario cambiamento delle cose… anch’io avevo bisogno di cambiare…

Ho comprato la casa. E’ iniziata una nuova vita.

giovedì 20 novembre 2008

Come comunicare nell’era del “Liquid Thinking”?

Appunti da un seminario

Come cambia la comunicazione nella società di oggi? Quali opportunità offrono le nuove tecnologie?

A queste domande ha cercato di rispondere il seminario sulla Comunicazione per la Pubblica Amministrazione organizzato dalla Saatchi & Saatchi a cui sono stata ieri.

Con l’aumento dell’alfabetizzazione tecnologia e culturale, si è detto ad apertura del convegno, i cittadini e i consumatori sono diventati competenti, attori delle proprie decisioni e vogliono contare. La diffusione delle nuove tecnologie non ha accorciato solamente le distanze, ma ha trasformato il cittadino in un informatore interconnesso con gli altri. E’ diventato un opinion leader consapevole della propria forza e in grado di aggregare comunità. Come infatti scrive Chris Anderson: “viviamo in un’epoca in cui ogni consumatore ha un megafono. Molti lo stanno usando e le aziende farebbero meglio ad ascoltare.”

Siamo in un processo magmatico in cui c’è più possibilità di incidere come gruppo non organizzato che come partito. Citando Chris Hughes, il co-fondatore di Facebook: “il vero cambiamento nasce dal basso e non c’è strumento più potente di Internet per organizzare una campagna elettorale”.E’ il caso di Obama, naturalmente, ma anche della Palin scelta anche in base ai sondaggi sui blog.

Le possibilità di scelta si sono moltiplicate. I cittadini possono comparare su Internet quello che vogliono acquistare e nei riguardi della Pubblica Amministrazione si aspettano, oltre ad una informazione trasparente e completa, la possibilità di interagire e un servizio efficiente e personalizzato.

In questo contesto la comunicazione deve diventare “liquida”. Come l’acqua che prende forma dal suo recipiente, deve essere fluida e flessibile e parlare al cittadino con il suo stesso linguaggio, non più con un tono patronising, dall’alto verso il basso.
Dalla comunicazione bisogna passare al dialogo e alla relazione, dalla comunicazione verticale e monodirezionale del passato a quella orizzontale e bidirezionale dei nostri giorni. Si abbandona la vecchia visione industriale fordista che vedeva i consumatori standardizzati in target, per una nuova visione in cui i consumatori sono visti come persone. Il problema non è più come raggiungere il target, ma come farsi trovare. La vecchia economia dell’attenzione in cui contavano i numeri e i fatti lascia il posto ad un’economia dell’attrazione in cui contano le emozioni e le relazioni personali.

Nella società “liquida” la comunicazione si frammenta su diversi canali, con una varietà di attività comunicative che ruotano intorno all’idea centrale del messaggio. Anche i mezzi classici si spostano verso un universo frammentato in cui migliorano la propria capacità di interazione. Secondo una logica che dice: “do what you do best and link to the rest!”
Da una comunicazione lineare si passa al networking, non si cerca più di influenzare direttamente i comportamenti ma di stabilire delle connessioni. Con il Viral marketing il passaparola è sempre più importante, il miglior promotore del nostro messaggio diventa il consumatore finale.

Non si parla più di audience, ma di community. Con il Web 2.0 i contenuti sono generati anche dagli utenti, come nei blog, come nel sito istituzionale di Obama dove sono scaricabili video realizzati dai sostenitori. Con le risorse open source la progettazione viene condivisa. E anche nella PA non si può più calare l’opera pubblica all’interno della comunità senza condividerla con la comunità stessa.

Ma in questo universo così frammentato, dagli infiniti messaggi, come superare il muro dell’indifferenza?

Saatchi & Saatchi porta l’esempio dei LoveMarks, di servizi, prodotti, ma anche persone che ispirano fedeltà oltre ogni ragione, che istaurano relazioni emotive profonde, offrendo risposte non solo sul piano razionale, ma anche sul piano delle emozioni, sempre più importanti nell’economia dell’attrazione.
Bisogna dunque stabilire relazioni personali con il consumatore o il cittadino, guardarlo negli occhi dargli del tu, personalizzare il messaggio passando dalle grandi promessi ai gesti intimi. Per entrare in contatto si possono proporre i messaggi nei luoghi in cui servono, ad es. agli incroci per i messaggi sulla sicurezza stradale, nei bar per quelli sul controllo dell’alcool. E togliere sempre invece di aggiungere, parlando con semplicità. Se abbiamo infatti qualcosa di importante da dire, e la Pubblica Amministrazione certamente ce l’ha, che bisogno c’è di nasconderla fra mille altre? Essere semplici significa comunicare l’essenza.

La PA deve passare dal servizio all’attenzione verso il cittadino, stabilire una relazione che lo faccia sentire importante. Come ha fatto Obama in tutta la sua campagna elettorale, bisogna parlare alle persone direttamente, guardarle negli occhi. Bisogna riconoscere l’interlocutore, farlo sentire al centro dei propri pensieri. Proprio come si fa con una persona con cui ci interessa stabilire una relazione personale e intima.

E se c’è un luogo deputato a stabilire una relazione personale questa è proprio la rete. Come ha dimostrato la campagna on-line di Obama il Web è si un luogo dove informare, ma anche un potentissimo strumento per comunicare in maniera partecipativa e interattiva e quindi ottenere il massimo coinvolgimento. Un luogo dove sensibilizzare, stimolare, sorprendere, intrattenere, giocare e, non ultimo, far sognare. Grazie alla trasmissione di valori, quali ad es. la speranza e il cambiamento, che coinvolgono di più delle informazioni e delle notizie perché suscitano emozioni.
La comunicazione “liquida” passa quindi dalla dimensione funzionale a quella simbolica, la realtà viene portata verso la sua dimensione aspirazionale. Uno dei modi migliori per farlo è il racconto che, al contrario dell’informazione e delle notizie che pongono l’accento sulla realtà così come è percepita, pone l’accento sull’aspetto valoriale e aspirazionale. Una volta definiti i valori questi vengono dunque espressi tramite il racconto in modo che il cittadino li possa vivere in modo coinvolgente ed emozionante.

Il prodotto o il servizio che vogliamo comunicare diventano allora un’esperienza. Diventano indimenticabili.

“Le persone infatti dimenticano quello che hai detto e quello che hai fatto ma non come le hai fatte sentire”.

lunedì 17 novembre 2008

Seminario di Dara Marks: “the change we need”

(non solo Obama... anche in sceneggiatura)

Dal seminario di sceneggiatura a cui sono stata giovedì scorso:

La crescita e il cambiamento fanno parte del ciclo della vita.
  • Perché il cambiamento è essenziale per crescere, è un requisito obbligatorio della vita
  • Se qualcosa non cresce e si sviluppa è destinato al decadimento e alla morte
  • Non esistono condizioni di stasi in natura. Niente è mai in una posizione permanente, o cresce o diminuisce

Anche in sceneggiatura per avere una storia interessante il protagonista deve essere in una fase della sua vita in cui per sopravvivere deve cambiare. Il conflitto nasce dalla resistenza al cambiamento del protagonista, dalla sua lotta interiore per mantenere i vecchi meccanismi di sopravvivenza.
La maggior parte di noi infatti resiste al cambiamento e si afferra ai vecchi meccanismi di sopravvivenza perché sono familiari e sembrano più sicuri. Perché è più facile coabitare con ciò che conosciamo che affrontare il nuovo, anche se ciò che conosciamo ci fa sentire soli, depressi, impauriti, non amati. Il risultato è che molti di noi combattono per mantenere relazioni distruttive, lavori non soddisfacenti, dipendenze dannose, comportamenti immaturi anche se in essi non c’è più nessun valore e vitalità.

In sceneggiatura la resistenza del protagonista al cambiamento viene definito da Dara Marks come il fatal flaw, ovvero la lotta all'interno del personaggio per mantenere vecchi schemi di sopravvivenza che ormai hanno perso la loro utilità.

Grande Dara! Utile non solo per la sceneggiatura.

Per saperne di più sul Fatal Flow secondo Dara Marks: http://www.storylink.com/article/192

venerdì 14 novembre 2008

Sono felice di vivere a Roma! In un attico all'Esquilino!